A Francesco, Vescovo di Roma

Abbiamo un nuovo Papa e si chiama Francesco

di Carmelo Torcivia, presbitero, responsabile della Comunità Kairòs.

Anzi, abbiamo un nuovo Vescovo di Roma. E non è leziosità o questione di lana caprina. Si tratta di differenza fondamentale. Se, infatti, i due titoli coincidono e si è chiamati Papa, perché Vescovi di Roma, tuttavia vi è una differenza nell’uso – comune e secolare – del termine “Papa” che tradisce una diversa concezione ecclesiologica rispetto al titolo sacramentale di “Vescovo di Roma”. Il termine “Papa” è da secoli utilizzato per indicare una persona che è al vertice di una piramide di governo, che mostra con evidenza una concezione medievale-feudale del rapporto verità-potere. La locuzione “Vescovo di Roma” – ben più antica e veneranda – è invece espressiva di un’ecclesiologia di comunione, ricuperata e valorizzata dal Concilio Vaticano II. Per essa tutte le Chiese-Diocesi sono legate tra loro all’interno di un rapporto comunionale, frutto dell’azione dello spirito Santo, che non è di mera dipendenza dal Papa-Curia romana. All’interno di questa parità comunionale tra le Chiese vi è un ruolo particolare che è assegnato alla Chiesa di Roma e per essa al suo Vescovo: la presidenza nell’amore. Questa dottrina antichissima, che risale già all’età sub-apostolica (è Sant’Ignazio di Antiochia – morto martire tra il 105 e il 135 d.C. – che per primo la formulò), è ovviamente riconosciuta a livello ecumenico, in special modo dalle Chiese Ortodosse. Francesco – che non solo non ha mai detto ieri di essere il Papa ma ha ripetuto per ben tre volte di essere il Vescovo di Roma e ha subito impostato il suo discorso rivolgendosi al popolo romano come al suo popolo – vuole così non solo essere fedele alla forma ecclesiologica riproposta dal Vaticano II, ma proporre a tutta la Chiesa il grande valore della sinodalità e della collegialità. Queste scelte non possono che portare ottimi frutti alla Chiesa e al mondo e farla definitivamente uscire dalle secche di una concezione medievale ed oligarchica del suo governo.

Sibi imposuit nomen Franciscum”. La sua scelta di chiamarsi “Francesco” è puro canto melodioso per le nostre orecchie. Per noi di Kairòs, infatti, Francesco di Assisi è sicuramente un punto di riferimento sicuro del nostro cammino cristiano sia per la sua concezione della Parola di Dio sia perché egli è l’anti-potere per eccellenza. Ciò che determina la vocazione di Francesco è il sogno in cui egli riceve da Dio le parole: “Va’ e ripara la mia Chiesa”. All’inizio egli pensa che debba riparare una chiesetta di campagna ormai diruta. Ben presto, però, capisce che si tratta di cosa molto ben più impegnativa: il rinnovamento della Chiesa. In un tempo ecclesiale in cui la Chiesa esercita sfacciatamente un potere mondano, Francesco con la forza della sola Parola di Dio (ricordiamoci che la prima regola “non bollata” era semplicemente una silloge di brani scritturistici e che la seconda regola “bollata” continua ad avere una fortissima presenza della Scrittura) costruisce una via cristiana in cui “madonna povertà” è la sposa che rende libero ogni cristiano da velleità di potere e lo inserisce all’interno di una grande fraternità. Nessuno è più “superiore” dell’altro, ma ne è custode, “guardiano”, esercita cura. Certo, non è facile incontrare ed abbracciare subito il “lebbroso”. Anche per Francesco. E infatti, la prima volta fugge. E tuttavia, ritorna sui suoi passi e lo abbraccia. Una volta superato questo scoglio, è finalmente libero di potere essere con tutti: ha compiuto la sua kenosi. La scelta della povertà come anti-potere in vista di fraternità libera e liberante, in cui l’amore si esprime fattivamente come cura materna per l’altro. Il nuovo Vescovo di Roma che non porta orpelli trionfalistici nei suoi vestimenti e mostra una semplice croce pettorale di ferro è sicuramente un buon messaggio d’inizio del suo ministero petrino. Il suo linguaggio semplice e il suo immediato richiamo alla fraternità sono ancora dentro questa linea.

Caro padre Francesco, Vescovo di Roma che presiedi l’unità di tutte le Chiese con l’amore della tua Chiesa di Roma, con umiltà vogliamo come comunità Kairòs benedirti, come tu ci hai chiesto, e chiederti di spezzarci l’evangelo di Gesù Cristo e di riformare questa nostra Chiesa secondo uno stile evangelico di fraternità universale, di essenzialità cristiana, di sinodalità ecclesiale e di collegialità episcopale. Il silenzio di preghiera che ieri hai chiesto al popolo di Roma è per noi consegna della vigilanza di un silenzio che sempre in noi accompagna l’ascolto e l’accoglienza della Parola. Silenzio di preghiera, generatore di azione.

Francesco, ti custodiamo nella preghiera e nell’affetto.

E tu custodiscici nella profezia.

 

One comment on “A Francesco, Vescovo di Roma

  1. Stefania scrive:

    Grazie!!!

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