Pasqua di pace

Articolo pubblicato su Repubblica del 17 aprile 2022

di don Carmelo Torcivia

Ancora una volta Pasqua. Ancora una volta una pioggia di auguri.
E tuttavia, quest’anno un velo di tristezza attraversa questi auguri. Il covid, finito ufficialmente ma non ancora nei fatti, la guerra in Ucraina, con tutto il portato di dolore per le vittime e di paura per un allargamento del conflitto e di un possibile uso del nucleare, e i futuri caro-vita e sobrietà energetica rendono questa Pasqua diversa rispetto a tutte le altre.
Ed è la guerra – manco a dirlo! – che esercita un potere oscuro e terribile su tutti noi. Innanzitutto, perché a chi è più avanti in età lo fa ripiombare indietro nel tempo sia per il ritorno di una divisione dell’Europa, in stile guerra fredda, che per l’affermarsi di disegni imperialistici e nazionalistici, non più rivestiti dalla nobiltà delle ideologie ma finalmente nudi nella loro natura di manifestazione di puro potere.
Eh, sì! Lo dobbiamo dire. Al di là della falsa retorica di un Occidente malato e decadente, definitivamente senza valori, e di un Oriente che si sente investito della funzione messianica di salvezza nei suoi confronti, ormai il gioco è scoperto: si tratta solo di potere. Del potere demoniaco, che pure Dostoevskij aveva più volte denunciato (basti per tutte la “Leggenda del grande inquisitore”), sulla scorta di una evidente memoria evangelica.
Dal punto di vista della Rivelazione cristiana, infatti, il potere è una sorta di anti-Dio, anche se molte volte furbescamente nascosto sia nelle visioni teologiche che nelle plurali vesti e figure del sacro. È già lo stesso Gesù di Nazareth, nelle tentazioni subite, che denuncia l’identità satanica ed idolatrica del potere (cf Mt 4, 8-10). Nel vangelo di Luca poi le tre tentazioni di Gesù hanno il loro inveramento nel tempo in cui Gesù è appeso in croce. In quell’ora tragica tre diverse figure chiedono, anche con scherno, a Gesù di salvare se stesso, se veramente è lui il Cristo. L’ultima e la vera tentazione di Gesù consiste allora nell’identificare il Messia come colui che è capace di auto-salvarsi. La mentalità del potere esclude così Dio e il dono di grazia della sua salvezza. Questa idolatria del potere investe in principal modo l’immagine di Dio. Infatti, già agli inizi dell’umanità, Adamo e Eva pensano che solo diventando come Dio (cf Gen 3,4) possono diventare così potenti da poter eliminare la morte.
Ancora oggi i potenti di questa terra sovente scimmiottano questa caricatura di Dio e s’investono anche del ruolo di salvatori del popolo. Ma è solo una tragica parodia, di cui lo stesso popolo paga le tremende conseguenze. In Ucraina, come già nelle guerre consumate nei Balcani, in Libia, in Iraq, in Afghanistan (per citarne alcune più note), si assiste a questa tragica rappresentazione.
Come s’inserisce, in questo contesto, il messaggio della Pasqua cristiana?
Si tratta di un evento, unico e irrepetibile, che si differenzia dai molti miti antichi, legati ai cicli della natura o, in ogni caso, al desiderio universale di una vita oltre la morte. Per la fede cristiana infatti la Pasqua coincide con l’evento, unico e irrepetibile, della morte e resurrezione di Gesù Cristo. All’interno della Pasqua si manifesta, soprattutto grazie alla resurrezione, la rivelazione dell’identità divina di Gesù di Nazareth e del suo specifico potere salvifico per ogni uomo.
A fronte di questo evento il credente è chiamato a non mollare, a sperare sempre. Malgrado la pesantezza di fattori negativi, non smette mai di credere che tutto il mondo è stato posto in uno stato di salvezza, che la pace sia un dono escatologico del Risorto dai morti, che il perdono sia lo stile dovuto di ogni cristiano ma anche di ogni uomo, l’unico che può sanare le ferite interiori e che rende liberi dall’ossessione, molte volte anche compulsiva, del rancore e dell’odio.
Si tratta, ovviamente, di una visione di fede, che si situa antropologicamente sul piano delle utopie, il cui significato non rimanda a ciò che non si realizza mai, ma piuttosto a ciò che si realizza all’infinito. E di cui c’è molto bisogno, anche a fronte di un diffuso scoraggiamento che porta molti uomini ad assumere posizioni rassegnate, se non addirittura ciniche.
E ne hanno bisogno soprattutto molti giovani dei nostri licei siciliani, che alcune volte appaiono fin troppo spalmati su una certa prospettiva “realistica”. Sembra quasi che non siano più capaci di alzare le ali dei loro sogni. Come, se così facendo, volessero evitare di soffrire per disillusioni future.
Mai come in questi casi vale allora la pena di augurare a tutti buona Pasqua, rinviando alla sua forza intrinsecamente utopica, che libera la speranza dalle strettoie dello scoramento e dell’angoscia di morte e instilla nei cuori la compassione universale per tutti, vittime e carnefici.

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